Terremoto!!
Alle 17:10 del 26 ottobre 2016, un mese dopo la mia visita alla Cascata del Pisciatore, la terra di Castelsantangelo sul Nera iniziò a tremare. Il terremoto aveva distrutto tutto. Per fortuna nessuno era rimasto sotto le macerie. Gli abitanti vivevano in allerta dopo l’agosto che sconvolse Amatrice. A pensarci bene un morto, in effetti, ci fu. Il paese.
Di Castelsantangelo, epicentro del terremoto, non restava più nulla. Con due ceffoni madre natura aveva spazzato via anni di storia. In rete si vociferava che anche la Cascata non esistesse più a causa della deviazione del corso del fiume che la generava.
Tutta Italia, con apprensione, stava seguendo le sorti di quelle zone. Oltre a Castelsantangelo anche Visso, Norcia, Castelluccio, Ussita e Frontignano non furono risparmiate.
Una tragedia.
Aspettai 5 mesi. Contattai Maurizio e prendemmo la decisione di tornare a visitare la nostra amica Cascata. Saremo partiti il 26 marzo. Quasi una coincidenza: cinque mesi precisi dal sisma.
Ci alzammo presto quella mattina. Era freddo, il tempo era bello. Decisi di portarmi in zaino anche il drone per scattare qualche foto dall’alto e registrare un po’ di video. Ovviamente non dovevano mancare né il grandangolo e neppure il tele.
La strada la conoscevamo bene e arrivammo a Foligno velocemente. Con la nuova superstrada fu veloce raggiungere la piana di Colfiorito e quindi uscimmo a Muccia. Dopo venti chilometri eravamo a Visso.
Come quando vai in montagna a sciare, e trovi per strada sempre più neve ai lati delle strade, in quell’occasione trovavamo sempre più case e cose distrutte.
Mi assalì l’angoscia con un groppo al cuore. Iniziai a pensare che non ero neppure arrivato nelle zone dell’epicentro. Chissà quale era la situazione a Visso o Castelsantangelo.
Arrivammo veloci alle porte di Visso. Eravamo trepidanti di conoscere che fine avesse fatto il nostro “Antonio” Cappa. Quello del villanello.
In lontananza vedemmo macerie. Erano quelle della chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita “in solo et in fundo Lateranensi” nel 1349, di fronte alla “bottega” di Antonio.
O meglio. Antonio aveva aperto la sua attività di fronte a quella chiesa che era passata incolume attraverso 650 anni si storia.
La bottega era stata risparmiata. Era inagibile però. Notammo un furgone, di quelli con il frigorifero, con dentro il nostro “salumiere” intento a pesare e vendere il suo gioiello.
Lo raggiugemmo frettolosi dopo aver parcheggiato e ci salutò riconoscendoci al volo.
Gli occhi di Antonio erano stanchi. Non era il lavoro ad averlo stancato, il lavoro era il motivo della sua vita. Era annichilito da ciò che lo circondava. Gli ricordava, giorno dopo giorno, ciò che era accaduto cinque mesi prima in pochi minuti.
Senza indugiare acquistammo il “villanello” e gli chiedemmo se fosse stato disponibile a lasciarci un breve racconto in video. Nel frattempo, ci aveva raggiunto anche suo figlio che mostrava negli occhi la stessa tristezza del padre.
Ci raccontarono come fosse difficile il momento che stavano attraversando. Che la loro bottega era inagibile ma che con tanta forza di volontà stavano costruendo una struttura prefabbricata per proseguire l’attività. Ci raccontarono come fosse stata cavillosa la burocrazia per poter continuare a lavorare. Come la politica fosse passata veloce come il vento e non avesse portato via neppure le foglie da terra.
Erano demoralizzati. La loro forza interiore era la sola arma per continuare la battaglia contro quella natura crudele che li aveva messi in ginocchio.
Mentre ascoltavamo il racconto di Antonio i nostri occhi tornarono sulla chiesa. Salutammo, attraversammo la strada e alzai in volo il drone. Maurizio iniziò a scattare delle foto. I miei occhi iniziarono ad inumidirsi.
Era il momento di proseguire. Arrivati alle porte del paese trovammo il blocco stradale. Iniziava la “Zona Rossa”. La piazzetta di Visso era un vespaio di Vigili del Fuoco, Polizia, Carabinieri e Protezione Civile.
Accanto al blocco stradale una casetta in legno dove controllavano le operazioni e rilasciavano i permessi.
Eravamo scoraggiati. Dovevamo fare dietro-front e tornare a casa. Andammo a prendere un caffè e ci mettemmo a chiedere come fosse possibile accedere alla zona rossa.
Un arzillo vecchietto, con le rughe probabilmente approfondite dalla tristezza del momento, ci venne incontro e ci suggerì un escamotage per entrare dove era proibito. Sobbalzammo.
All’interno della zona, in località Ussita, c’era un ristorante. L’unico. L’unico che era rimasto illeso. Non aveva subito danni perché era stato costruito sotto ad una sorta di parcheggio. Un metro di cemento armato che aveva protetto “La Mezza Luna”. Con la prenotazione, per il desinare, il “lasciapassare” era tuo.
Non ce lo facemmo dire due volte. Telefono in mano, prenotazione fatta. Come avessi vinto qualcosa andai di corsa alla casetta e in pochi minuti il “visto d’entrata” era nostro.
Ero veramente emozionato. Un’emozione strana però. Gioia mista a dolore. Mi stavo chiedendo se fosse stato "giusto" andare a scattare foto in quelle zone devastate. Mi tornarono in mente le parole di Antonio che mi disse un’oretta prima “parlate di noi, ci hanno abbandonato”. Non esitai. Montai in macchina e con Maurizio superammo la barriera.
In lontananza vedevamo un palazzo squarciato. Un mezzo dei Vigili del Fuoco ci stava venendo incontro. Scattai subito, dalla macchina in movimento, una fotografia. Poco dopo arrivammo alla piazza.
Era come essere in certi villaggi fantasma del Far West. Polvere e macerie.
Trovammo una casetta della quale era rimasto solo il tetto.
I Vigili del Fuoco avevano “creato” il loro quartier generale in un edificio comunale che era rimasto in piedi. L’avevano irrobustito con travi di legno. Ovunque macerie. Ogni tanto, nelle stradine laterali, si facevano notare le transenne con il segnale di “pericolo crolli”.
Rivedemmo anche il ristorante che ci ospitò cinque mesi prima. Era irrangiungibile.
Dopo pochi chilometri arrivammo ad Ussita. Il clima era spettrale. Il Palazzo comunale divorato dalle crepe, le case del borgo annientate.
Nella piazza era stata costruita una casetta di legno come punto di riferimento dei soccorsi. Una bandiera tricolore sventolava accanto.
Era presto per andare al ristorante e così alzai in volo il mio drone e fu ancor più chiara la situazione.
Dopo aver volato scattammo delle foto e ci incamminammo verso “La Mezza Luna”. Con stupore, di fronte all’entrata del ristorante, trovammo un folto gruppo di persone. Era un club di motociclisti. Anche loro avevano prenotato e non avevano esitato a rispondere alla chiamata del cuore. Tutti a pranzo ad Ussita.
Il grande salone poteva accogliere un centinaio di persone e in tutta sicurezza.
Gustammo il nostro pasto e facemmo amicizia con Rossella la proprietaria. Si vedeva dagli occhi che era una persona tenace e decisa. Lo confermò quando ci raccontò le vicissitudini del suo locale.
Una triste storia italiana di burocrazia e politica come tante altre.
Con la pancia soddisfatta tornammo alla macchina. Stavamo per ripartire. Eravamo rimasti però con la curiosità di vedere la situazione di Frontignano. La località ancora più a monte di Ussita. Quella era proprio off-limits.
Passando davanti alla casetta dei Vigili del Fuoco ci facemmo coraggio e andammo a chiedere come fosse possibile visitare anche quella zona. Fortuna volle che li trovassimo sul punto di accompagnare il proprietario di una villetta. Doveva andare a controllare la condizione della sua casa rimasta irraggiungibile per mesi. Ci dissero “venite con noi – mettetevi il casco – non scendete di macchina”.
Con noi c'era anche "Mia" la maltese di Maurizio. Una cagnetta che spesso ci accompagna e ci segue con diligenza.
Il Vigile scherzando aggiunse "il cane non può venire con voi perchè non ho caschi della sua misura".
E così ci incamminammo per Frontignano. Anche in quel posto tristezza infinita. Arrivammo agli impianti di risalita. Una volta brulicavano di gente. Adesso erano blocchi di cemento pieni di crepe.
Ci spostammo al “Domus Laetitiae”.
La struttura alberghiera era già stata danneggiata dal terremoto dell’agosto. Fortuna volle che non ci fossero state conseguenze per le 170 persone che vi stavano soggiornando.
Con la “botta” di ottobre era venuto giù. Sventrato. Come un leone, il sisma, l’aveva sbranato.
Silenzio tra di noi. Anche il rumore delle macchine fotografiche sembrava soffocato.
Materassi che spuntavano dalle macerie come budella che fuoriescono dalla carcassa di un animale aggredito. E ancora. Tubature spezzate, pavimenti stroncati, porte lacerate.
Ad agosto ci fu l’avvertimento. Ad ottobre, grazie al cielo, non vi era nessuno.
Il groppo alla gola era inteso. Ci rimettemmo in auto e tornammo a Visso. Scattammo nel tragitto ancora qualche foto. Ma in silenzio. Era il momento di tornare a casa e riflettere.
Come scrisse Baricco “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla ...” e io son qui a farlo.
Ci rivediamo con la terza parte … andremo a visitare Castelluccio e Norcia. Anche li macerie.
il video della giornata
L'intervista al direttore del Domus Laetitiae