Castelluccio di Norcia è tra luoghi più ambiti dai fotografi. La fioritura annuale è il momento clou. La piana, dalla quale si erge la collinetta che ospita il piccolo paesino, si riempie di colori una volta all’anno. Genzianelle, papaveri, narcisi, violette e tanti altri tipi di fiori riempiono il quadro che la natura ci regala.
Era un anno e pochi mesi che non tornavo nelle zone del terremoto. Avevo realizzato il cortometraggio “non dimentichiamoli” dove raccontavo le vicissitudini di Visso ed Ussita e spesso riguardavo gli scatti che in quell’occasione avevo fatto, immortalando dolore e disperazione.
Roberto era un esperto della zona. Da buon fotografo aveva visitato Castelluccio tante volte.
Un instancabile fotografo alla ricerca continua di nuovi punti di vista e nuove avventure.
È lui che mi fece conoscere il mondo dei droni per cercare angolature inarrivabili da terra e per trovare la luce migliore.
Ci unisce la stessa passione. Una passione che va oltre il semplice scatto. Cerchiamo qualcosa in più, cerchiamo e vogliamo fermare in un “frame” le emozioni.
Roberto mi chiamò e mi propose di andare alla Piana. Aveva intuito che l’ambientazione sarebbe stata perfetta per fotografare. Nebbia e tempo bello con un po’ di nuvole. Saremmo partiti alle tre di mattina.
Una levataccia. Sicuramente ne valeva la pena. Montai in auto, aspettai Roberto e con lui ci recammo da Maurizio. Non poteva, anche lui, perdersi la “giornata perfetta” a Castelluccio.
Per mesi le strade per Castelluccio erano state inagibili. Per arrivare al piccolo borgo si poteva passare soltanto da Arquata del Tronto poichè la strada da Castelsantangelo era stata chiusa come anche quella che sale da Norcia.
Maurizio si era informato bene. Lo strappo di strada da Norcia era stato riaperto.
Alle 5 eravamo in cima al valico. Dietro di noi Norcia e davanti la Piana. Il sole iniziava a farsi vedere da lontano, la luce stava arrivando. Iniziammo a vedere un lago di nebbia davanti a noi: uno spettacolo meraviglioso. Tutto era perfetto.
Scendemmo di macchina e iniziammo quello che meglio sappiamo fare. Fotografare.
Roberto scappò in mezzo alle colline sovrastanti mentre Maurizio stava cercando la luce migliore al bordo della discesa. Io dopo alcuni scatti presi in mano il drone e iniziai a volare.
Che volo! Che luci, che colori e soprattutto che posto!
Il sole stava pian piano uscendo da dietro la montagna. E pian piano stava iniziando a dare sempre più colore alla natura che ci circondava.
La nebbia si stava diradando. Ci guardammo tutti con lo stesso pensiero “di corsa a Castelluccio” e cosi, di nuovo in auto, ci tuffammo nel mare di nebbia. Arrivammo in basso sulla piana ma non era ancora possibile gustarne la vastità. Alla fine del rettilineo, poche curve e fummo ai piedi della collinetta che la sovrasta.
Salimmo in cima, alla base del paese di Castelluccio. Con grande stupore, come se fosse stato un “effetto speciale”, dalla nebbia si materializzò dinnanzi a noi quello che restava del bar “La Campagnola”. Non volevo credere ai miei occhi. Un anno e mezzo e tutto era rimasto come natura aveva distrutto. Una vergogna. Un tabellone di legno era appoggiato di fronte al bar.
Scritto in dialetto riportava “Do ncesse la vista lo scossone – mo ce pensa lu fio de Maceone”.
Accanto all’alimentari una bottega artigiana. Chiusa ovviamente. Con la vecchia insegna a penzoloni. Di fronte, nello slargo, un furgoncino con i prodotti tipici “sapori umbri”.
La piazzetta era sempre stata il punto di riferimento per il ristoro dei turisti a Castelluccio. Era sempre stata un via vai di gente con panini in mano o con buste piene di lenticchie e salumeria norcina. Adesso c’era solo polvere.
Di fronte allo slargo c’era l’accesso per il vero nucleo abitato di Castelluccio. Era chiuso. Sbarrato. Il casottino accanto allo sbarramento riportava altre scritte, pitturate nel muro, in dialetto che non sono riuscito a decifrare.
Ci recammo oltre la piazza e decidemmo con Roberto di far alzare i nostri droni. Nel volo la nebbia era bellissima. Nascondeva a tratti il paese e la natura che lo circondava. Girammo intorno alle vecchie case.
Quando la vista si fece limpida rivelò la tragicità di quello che era successo.
Anche Castelluccio era completamente distrutto.
Macerie, mattoni, polvere e tegole. Poche case erano rimaste in piedi. Centinaia di anni in fumo.
Con tristezza atterrammo e tornammo alle macchine fotografiche. Roberto di nuovo in preda alla frenesia se ne andò per i fatti suoi a cercare le sue inquadrature mentre io e Maurizio prendemmo una strada per i campi opposti al paese. Arrivammo ad un ostello con bar per il solito caffè. Ce ne volevano due a testa dopo la levataccia. Incredibilmente era aperto ed aveva anche dei turisti amanti del trekking.
Con la caffeina in corpo riprendemmo il cammino per i campi in cerca di inquadrature per altri scatti. La piana era ancora invasa dalla nebbia. Ci concentrammo verso Castelluccio che, in lontananza e a tratti, appariva tra i vapori di acqua fredda che si stavano alzando e diradando. Parevano batuffoli di cotone messi a protezione delle poche cose, rimaste intatte, del paese.
Rientrammo alla base. Nella piazzetta il furgoncino dei “sapori umbri” era aperto. Eravamo svegli da sette ore e la porchetta fu la nostra miglior colazione.
Ci restò difficile non socializzare e come spesso accadeva ci mettemmo, anche in quell’occasione, a parlare con il gestore del ristoro ambulante.
Ci raccontò le ultime vicissitudini della zona, come un “rewind” ascoltammo, più o meno, gli stessi discorsi che un anno prima avevamo registrato a Visso. Burocrazia, politica, attese, demoralizzazione e impotenza.
Finimmo il nostro panino e anche la nostra chiacchierata.
Rimontammo in macchina. La nebbia era quasi completamente sparita. La piana si era rivelata ai nostri occhi in tutta la sua magnificenza.
Scendemmo da Castelluccio e ci fermammo in svariati posti per i nostri scatti.
Eravamo gli unici in quella vastità.
Mi venne in mente Salvatore Quasimodo “Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole” e la solitudine e la piccolezza dell'uomo di fronte alla Natura.
Vedemmo il profilo dell’Italia disegnato con gli alberi nel fianco delle colline.
Purtroppo, era ancora presto per lo spettacolo iridato della fioritura che sarebbe iniziata nel mese successivo. Non restammo, comunque, a bocca asciutta. Tutto il resto riuscì ad accontentare i nostri desideri di fotografi.
Era giunto il momento di ripartire. Di andare a Norcia. Ero ansioso di vedere come stava.
Arrivammo verso le undici. Era domenica e in centro trovammo molta gente. Nella piazza principale un’impalcatura si ergeva come fosse un’opera di arte moderna. Era la protezione e il sostegno della facciata della Basilica di San Benedetto che tra il 24 agosto e il 27 ottobre fu cancellata dal crollo del campanile che la sovrastava. Fu eretta nel 1200 sopra la casa natale del Santo.
I negozietti di norcineria erano tutti aperti e alcuni turisti girellavano in cerca del salume migliore.
L'attenzione cadde su un negozio che si era trasferito. Probabilmente a casusa dell'inagibilità del palazzo. Un prosciutto di cinghiale era rimasto appeso all'esterno per incuriosire i passanti.
La condizione di Norcia era accettabile. Molti monumenti, campanili o palazzi erano stati messi in sicurezza e le macerie erano state rimosse.
Mi venne in mente Visso. Ripensavo. Ero curioso di conoscerne la situazione. Mi consultai con i “ragazzi” e decidemmo di farci una breve tappa.
Passammo davanti a Cappa dove la chiesa di fronte era ancora come l’avevamo lasciata. Proseguimmo ed arrivammo in centro.
La zona rossa era stata tolta. Erano transennate soltanto le strade dove era pericoloso addentrarsi per crolli di cornicioni o di intonaco. Era comunque ancora messa male.
Convenimmo all’unisono che era il momento di pranzare e ci mettemmo in cerca di un ristoro.
Seguimmo il profumo di funghi e tartufo e ci sedemmo da “Km Zero” dove non ci facemmo mancare il classico tagliere di salumi che ben sanno fare da quelle parti.
Proseguimmo con un tripudio di tagliatelle accompagnate dalla birra artigianale che producevano con maestria. Intanto, il nobile tubero emanava il suo odore inconfondibile inebriando il nostro appetito e stuzzicando le papille gustative.
Ci tornarono in mente i momenti più belli della giornata. L'alba, il mare di nebbia. Ed anche quelli più tristi.
Terminammo il pranzo tra risa e sfottò tra di noi. Era l'usanza goliardica che ci contraddistingueva.
Montammo in auto e tornammo a casa.
il video della giornata