Zona Rossa - I parte

Incipit: Viaggio a Castel Sant'Angelo, Cascata del Pisciatore e Visso
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Il primo viaggio fotografico, nelle zone colpite dal terremoto, iniziò per caso il 25 settembre 2016.
Con il mio fidato compagno di scatti "Maurizio" partimmo di primissimo mattino con destinazione "Sorgente del Nera" e "Cascata del Pisciatore".

Arrivati a Castel Sant'Angelo iniziammo a godere della natura incontaminata che circondava il piccolo paesino arroccato sopra Visso. Ci fermammo a guardare stupiti la Sorgente del fiume Nera che si rivelò una semplice e piccola vena di acqua che scaturiva dalla roccia.

Zaini e materiale fotografico in spalla. Ci mettemmo in cammino verso la famosa "Cascata del Pisciatore": un remoto e sperduto salto di acqua all'interno del bosco.

La strada che ci aspettava non era ripida e neppure eccessivamente lunga. La nostra attrezzatura incombeva sulle nostre spalle come un macigno e il caldo si faceva sentire.

Lungo il cammino incontrammo una simpatica coppia con due rari esemplari di Lupo Cecoslovacco. Due bellissimi cani che correvano eccitati all'impazzata tra di noi e lungo il sentiero. Probabilmente sentivano l'odore del "Lupo" selvatico le cui feci, a detta degli esperti che ci accompagnavano, erano ben visibili nei dintorni.

  • Lupo Cecoslovacco

  • Lupo Cecoslovacco

Eravamo circondati dall'odore del bosco umbro. Il silenzio della natura, il frusciare dei nostri passi, il leggero ansimare della nostra fatica veniva interrotto dalle voci lontane degli animali nascosti nel verde.
In effetti ero leggermente impaurito per la probabilità di trovare nel nostro cammino il "re del bosco"... il lupo.

nel bosco

Un'ora di cammino. Il sentiero si faceva sempre più ripido. Ad un tratto sentimmo in lontananza il suono inconfondibile dell'acqua. Eravamo vicini alla cascata.
Il rumore si faceva sempre più intenso ma non riuscivamo a trovarla.
Ad un tratto Maurizio, il mio compagno di avventure fotografiche, seguendo il suo udito e l'istinto scorse un piccolo pertugio tra i rami. Si fece largo tra la fitta vegetazione e gridò... ECCOLA!

Lo seguii d'impulso scordandomi che avevo l'attrezzatura nelle spalle e le braccia scoperte. I rami lasciarono il segno nella mia pelle ma neppure me ne accorsi. I lupi cecoslovacchi avevano già raggiunto la meta, passando da chissà quale apertura tra gli alberi. Li vidi maestosi sotto la cascata come ad inebriarsi di quell'acqua che copiosa scendeva dalla roccia a una decina di metri sopra di noi.

Piccola ma imponente la Cascata del Pisciatore si trovava dinanzi a me come un regalo della natura ricevuto dopo lo sforzo sostenuto per raggiungerla.

La Cascata del Pisciatore

I cani erano entusiasti e sempre più eccitati. I proprietari dovettero assicurarseli al guinzaglio per evitare che si facessero male scivolando nella roccia umida.
E noi fotografi non riuscimmo a trattenere l'impulso di immortalare con le nostre macchine fotografiche la maestosità della natura. Scatti semplici, con cavalletto e posa lunga. Per rendere vivo, nel fermo dello scatto, il movimento dell'acqua. Per rendere udibile quel dolce frastuono nelle immagini che avremo portato a casa e mostrato a tutti con orgoglio.

  • Sotto la cascata

  • Sotto la cascata

  • Sotto la cascata

  • Sotto la cascata

La voglia di gettarmi sotto lo scroscio della Cascata era fortissima. Mi trattenni, pensando alla strada che avrei dovuto affrontare al ritorno. 

Passammo una mezzoretta accanto alla nostra nuova amica, che la natura ci aveva dato il privilegio di conoscere, e incantati ci mettemmo in cammino, di nuovo, per tornare a Castel Sant'Angelo.

Tornati alla macchina partimmo per Visso. Era passata l'ora di pranzo da poco. La fortuna non ci abbandonò e riuscimmo a trovare un ristorante aperto che ci ospitò e deliziò con le specialità alla griglia della zona.
Ci saziammo a dovere, come ben sappiamo fare io e Maurizio nelle nostre domeniche fotografiche.

Di nuovo zaini in spalla e ultimi scatti. Camminammo per il borgo medievale. Vicoli, piazzette, torri ed archi antichi. E ancora simboli ed epigrafi scolpiti a memoria di un'epoca remota che affascina per i sui reconditi significati.

Questa è Visso.

  • Visso e il monte

  • Epigrafe

  • Piazza S. Francesco

  • Visso

  • Visso - Torre

  • Visso - Porta Medievale

Nella strada del ritorno era impensabile non fermarsi ad acquistare il salume tipico della zona. Come fosse un trofeo lo avrei portato a casa ed assaporato con calma.
Un salume morbido, quasi spalmabile, il "villanello". La versione locale del classico "ciauscolo" marchigiano. Era una bontà. Lo acquistammo da "Cappa", alle porte del paese. Da generazioni produce questa delizia, te la vende sottovuoto oppure la usa per prepararti squisiti panini da gustare con un bel bicchiere di vino rosso. 

Frenare la "gola" era impossibile e così ci facemmo preparare due appetitosi panini da Antonio, il proprietario.
Si mise al tavolo con noi e tra un morso e un sorso di vino ci raccontò un pò della sua vita e della storia del salume di cui andava fiero. 

Sazi e appagati di tutto ciò che avevamo potuto ottenere da quella giornata di sole, di foto, di cibo e natura tornammo a casa.

Un mese dopo, una triste notizia. Il 26 ottobre 2016 momenti di paura e terrore, morte e distruzione avevano imperversato in quei luoghi che tanto ci avevano affascinato.

... terremoto

... Quattro mesi dopo tornammo negli stessi luoghi e ve lo racconterò nella II parte.

 

La Cascata del Pisciatore

Leggi la II parte

Zona Rossa - II parte

Incipit: Il ritorno a Visso dopo il terremoto
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Terremoto!!

Alle 17:10 del 26 ottobre 2016, un mese dopo la mia visita alla Cascata del Pisciatore, la terra di Castelsantangelo sul Nera iniziò a tremare. Il terremoto aveva distrutto tutto. Per fortuna nessuno era rimasto sotto le macerie. Gli abitanti vivevano in allerta dopo l’agosto che sconvolse Amatrice. A pensarci bene un morto, in effetti, ci fu. Il paese.

Di Castelsantangelo, epicentro del terremoto, non restava più nulla. Con due ceffoni madre natura aveva spazzato via anni di storia. In rete si vociferava che anche la Cascata non esistesse più a causa della deviazione del corso del fiume che la generava.

Tutta Italia, con apprensione, stava seguendo le sorti di quelle zone. Oltre a Castelsantangelo anche Visso, Norcia, Castelluccio, Ussita e Frontignano non furono risparmiate.
Una tragedia.

Aspettai 5 mesi. Contattai Maurizio e prendemmo la decisione di tornare a visitare la nostra amica Cascata. Saremo partiti il 26 marzo. Quasi una coincidenza: cinque mesi precisi dal sisma.

Ci alzammo presto quella mattina. Era freddo, il tempo era bello. Decisi di portarmi in zaino anche il drone per scattare qualche foto dall’alto e registrare un po’ di video. Ovviamente non dovevano mancare né il grandangolo e neppure il tele.

La strada la conoscevamo bene e arrivammo a Foligno velocemente. Con la nuova superstrada fu veloce raggiungere la piana di Colfiorito e quindi uscimmo a Muccia. Dopo venti chilometri eravamo a Visso.

Come quando vai in montagna a sciare, e trovi per strada sempre più neve ai lati delle strade, in quell’occasione trovavamo sempre più case e cose distrutte.

Mi assalì l’angoscia con un groppo al cuore. Iniziai a pensare che non ero neppure arrivato nelle zone dell’epicentro. Chissà quale era la situazione a Visso o Castelsantangelo.

Arrivammo veloci alle porte di Visso. Eravamo trepidanti di conoscere che fine avesse fatto il nostro “Antonio” Cappa. Quello del villanello

In lontananza vedemmo macerie. Erano quelle della chiesa di Sant’Antonio Abate, costruita “in solo et in fundo Lateranensi” nel 1349, di fronte alla “bottega” di Antonio.
O meglio. Antonio aveva aperto la sua attività di fronte a quella chiesa che era passata incolume attraverso 650 anni si storia.

  • Chiesa di Sant'Antonio Abate

  • Chiesa di Sant'Antonio Abate

La bottega era stata risparmiata. Era inagibile però. Notammo un furgone, di quelli con il frigorifero, con dentro il nostro “salumiere” intento a pesare e vendere il suo gioiello.
Lo raggiugemmo frettolosi dopo aver parcheggiato e ci salutò riconoscendoci al volo.

Gli occhi di Antonio erano stanchi. Non era il lavoro ad averlo stancato, il lavoro era il motivo della sua vita. Era annichilito da ciò che lo circondava. Gli ricordava, giorno dopo giorno, ciò che era accaduto cinque mesi prima in pochi minuti.

Senza indugiare acquistammo il “villanello” e gli chiedemmo se fosse stato disponibile a lasciarci un breve racconto in video. Nel frattempo, ci aveva raggiunto anche suo figlio che mostrava negli occhi la stessa tristezza del padre.

Ci raccontarono come fosse difficile il momento che stavano attraversando. Che la loro bottega era inagibile ma che con tanta forza di volontà stavano costruendo una struttura prefabbricata per proseguire l’attività. Ci raccontarono come fosse stata cavillosa la burocrazia per poter continuare a lavorare. Come la politica fosse passata veloce come il vento e non avesse portato via neppure le foglie da terra.
Erano demoralizzati. La loro forza interiore era la sola arma per continuare la battaglia contro quella natura crudele che li aveva messi in ginocchio.

Mentre ascoltavamo il racconto di Antonio i nostri occhi tornarono sulla chiesa. Salutammo, attraversammo la strada e alzai in volo il drone. Maurizio iniziò a scattare delle foto. I miei occhi iniziarono ad inumidirsi.

Era il momento di proseguire. Arrivati alle porte del paese trovammo il blocco stradale. Iniziava la “Zona Rossa”. La piazzetta di Visso era un vespaio di Vigili del Fuoco, Polizia, Carabinieri e Protezione Civile.
Accanto al blocco stradale una casetta in legno dove controllavano le operazioni e rilasciavano i permessi.

Eravamo scoraggiati. Dovevamo fare dietro-front e tornare a casa. Andammo a prendere un caffè e ci mettemmo a chiedere come fosse possibile accedere alla zona rossa.
Un arzillo vecchietto, con le rughe probabilmente approfondite dalla tristezza del momento, ci venne incontro e ci suggerì un escamotage per entrare dove era proibito. Sobbalzammo.

All’interno della zona, in località Ussita, c’era un ristorante. L’unico. L’unico che era rimasto illeso. Non aveva subito danni perché era stato costruito sotto ad una sorta di parcheggio. Un metro di cemento armato che aveva protetto “La Mezza Luna”. Con la prenotazione, per il desinare, il “lasciapassare” era tuo.

Non ce lo facemmo dire due volte. Telefono in mano, prenotazione fatta. Come avessi vinto qualcosa andai di corsa alla casetta e in pochi minuti il “visto d’entrata” era nostro.

  • il blocco stradale per la Zona Rossa

  • il caffè a Visso

  • l'accesso alla Zona Rossa

  • l'accesso alla Zona Rossa

  • Le prime case distrutte

  • Le prime case distrutte

  • Le prime case distrutte

  • il visto d'entrata

  • La Piazza di Visso

Ero veramente emozionato. Un’emozione strana però. Gioia mista a dolore. Mi stavo chiedendo se fosse stato "giusto" andare a scattare foto in quelle zone devastate. Mi tornarono in mente le parole di Antonio che mi disse un’oretta prima “parlate di noi, ci hanno abbandonato”. Non esitai. Montai in macchina e con Maurizio superammo la barriera.

In lontananza vedevamo un palazzo squarciato. Un mezzo dei Vigili del Fuoco ci stava venendo incontro. Scattai subito, dalla macchina in movimento, una fotografia. Poco dopo arrivammo alla piazza.

  • Far West

  • La caserma

  • Visso

  • il tetto senza casa

  • il ristorante

  • Visso

Era come essere in certi villaggi fantasma del Far West. Polvere e macerie.

Trovammo una casetta della quale era rimasto solo il tetto.

I Vigili del Fuoco avevano “creato” il loro quartier generale in un edificio comunale che era rimasto in piedi. L’avevano irrobustito con travi di legno. Ovunque macerie. Ogni tanto, nelle stradine laterali, si facevano notare le transenne con il segnale di “pericolo crolli”.

Rivedemmo anche il ristorante che ci ospitò cinque mesi prima. Era irrangiungibile.

il tricolore

Dopo pochi chilometri arrivammo ad Ussita. Il clima era spettrale. Il Palazzo comunale divorato dalle crepe, le case del borgo annientate.

Nella piazza era stata costruita una casetta di legno come punto di riferimento dei soccorsi. Una bandiera tricolore sventolava accanto.

Era presto per andare al ristorante e così alzai in volo il mio drone e fu ancor più chiara la situazione.

Dopo aver volato scattammo delle foto e ci incamminammo verso “La Mezza Luna”. Con stupore, di fronte all’entrata del ristorante, trovammo un folto gruppo di persone. Era un club di motociclisti. Anche loro avevano prenotato e non avevano esitato a rispondere alla chiamata del cuore. Tutti a pranzo ad Ussita.
Il grande salone poteva accogliere un centinaio di persone e in tutta sicurezza.

Gustammo il nostro pasto e facemmo amicizia con Rossella la proprietaria. Si vedeva dagli occhi che era una persona tenace e decisa. Lo confermò quando ci raccontò le vicissitudini del suo locale.

Una triste storia italiana di burocrazia e politica come tante altre.

  • il comune di Ussita

  • Ussita

  • La Mezza Luna

  • La Mezza Luna

  • La Mezza Luna

  • La Mezza Luna

Con la pancia soddisfatta tornammo alla macchina. Stavamo per ripartire. Eravamo rimasti però con la curiosità di vedere la situazione di Frontignano. La località ancora più a monte di Ussita. Quella era proprio off-limits.

Passando davanti alla casetta dei Vigili del Fuoco ci facemmo coraggio e andammo a chiedere come fosse possibile visitare anche quella zona. Fortuna volle che li trovassimo sul punto di accompagnare il proprietario di una villetta. Doveva andare a controllare la condizione della sua casa rimasta irraggiungibile per mesi. Ci dissero “venite con noi – mettetevi il casco – non scendete di macchina”.

Con noi c'era anche "Mia" la maltese di Maurizio. Una cagnetta che spesso ci accompagna e ci segue con diligenza. 

Il Vigile scherzando aggiunse "il cane non può venire con voi perchè non ho caschi della sua misura".

Mia

E così ci incamminammo per Frontignano. Anche in quel posto tristezza infinita. Arrivammo agli impianti di risalita. Una volta brulicavano di gente. Adesso erano blocchi di cemento pieni di crepe.

Ci spostammo al “Domus Laetitiae”.
La struttura alberghiera era già stata danneggiata dal terremoto dell’agosto. Fortuna volle che non ci fossero state conseguenze per le 170 persone che vi stavano soggiornando.

Con la “botta” di ottobre era venuto giù. Sventrato. Come un leone, il sisma, l’aveva sbranato.

  • Case di Ussita

  • Frontignato il Domus Laetitiae

  • Domus Laetitiae

  • Domus Laetitiae

  • Domus Laetitiae

  • Vigili del Fuoco

  • Direzione Frontignano

  • Impianti di Frontignano

  • Impianti di risalita a Frontignano

Silenzio tra di noi. Anche il rumore delle macchine fotografiche sembrava soffocato.

Materassi che spuntavano dalle macerie come budella che fuoriescono dalla carcassa di un animale aggredito. E ancora. Tubature spezzate, pavimenti stroncati, porte lacerate.
Ad agosto ci fu l’avvertimento. Ad ottobre, grazie al cielo, non vi era nessuno.

Il groppo alla gola era inteso. Ci rimettemmo in auto e tornammo a Visso. Scattammo nel tragitto ancora qualche foto. Ma in silenzio. Era il momento di tornare a casa e riflettere.

Come scrisse Baricco “Non sei fregato veramente finché hai da parte una buona storia, e qualcuno a cui raccontarla...” e io son qui a farlo.

Ci rivediamo con la terza parte … andremo a visitare Castelluccio e Norcia. Anche li macerie.

Leggi la I parte

Leggi la III parte

il video della giornata


L'intervista al direttore del Domus Laetitiae

Zona Rossa - III parte

Incipit: Verso Castelluccio di Norcia un anno dopo
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Castelluccio di Norcia è tra luoghi più ambiti dai fotografi. La fioritura annuale è il momento clou. La piana, dalla quale si erge la collinetta che ospita il piccolo paesino, si riempie di colori una volta all’anno. Genzianelle, papaveri, narcisi, violette e tanti altri tipi di fiori riempiono il quadro che la natura ci regala.

Era un anno e pochi mesi che non tornavo nelle zone del terremoto. Avevo realizzato il cortometraggio “non dimentichiamoli” dove raccontavo le vicissitudini di Visso ed Ussita e spesso riguardavo gli scatti che in quell’occasione avevo fatto, immortalando dolore e disperazione.

Roberto era un esperto della zona. Da buon fotografo aveva visitato Castelluccio tante volte.
Un instancabile fotografo alla ricerca continua di nuovi punti di vista e nuove avventure.
È lui che mi fece conoscere il mondo dei droniper cercare angolature inarrivabili da terra e per trovare la luce migliore.
Ci unisce la stessa passione. Una passione che va oltre il semplice scatto. Cerchiamo qualcosa in più, cerchiamo e vogliamo fermare in un “frame” le emozioni.

Roberto mi chiamò e mi propose di andare alla Piana. Aveva intuito che l’ambientazione sarebbe stata perfetta per fotografare. Nebbia e tempo bello con un po’ di nuvole. Saremmo partiti alle tre di mattina.

  • La piana con la nebbia

  • La piana con la nebbia

  • La piana con la nebbia

Una levataccia. Sicuramente ne valeva la pena. Montai in auto, aspettai Roberto e con lui ci recammo da Maurizio. Non poteva, anche lui, perdersi la “giornata perfetta” a Castelluccio.

Per mesi le strade per Castelluccio erano state inagibili. Per arrivare al piccolo borgo si poteva passare soltanto da Arquata del Tronto poichè la strada da Castelsantangelo era stata chiusa come anche quella che sale da Norcia.
Maurizio si era informato bene. Lo strappo di strada da Norcia era stato riaperto.

Alle 5 eravamo in cima al valico. Dietro di noi Norcia e davanti la Piana. Il sole iniziava a farsi vedere da lontano, la luce stava arrivando. Iniziammo a vedere un lago di nebbia davanti a noi: uno spettacolo meraviglioso. Tutto era perfetto.

Scendemmo di macchina e iniziammo quello che meglio sappiamo fare. Fotografare.
Roberto scappò in mezzo alle colline sovrastanti mentre Maurizio stava cercando la luce migliore al bordo della discesa. Io dopo alcuni scatti presi in mano il drone e iniziai a volare.
Che volo! Che luci, che colori e soprattutto che posto!
Il sole stava pian piano uscendo da dietro la montagna. E pian piano stava iniziando a dare sempre più colore alla natura che ci circondava.

La nebbia si stava diradando. Ci guardammo tutti con lo stesso pensiero “di corsa a Castelluccio” e cosi, di nuovo in auto, ci tuffammo nel mare di nebbia. Arrivammo in basso sulla piana ma non era ancora possibile gustarne la vastità. Alla fine del rettilineo, poche curve e fummo ai piedi della collinetta che la sovrasta.

L'alba a Castelluccio

  • Castelluccio

  • Castelluccio

Salimmo in cima, alla base del paese di Castelluccio. Con grande stupore, come se fosse stato un “effetto speciale”, dalla nebbia si materializzò dinnanzi a noi quello che restava del bar “La Campagnola”. Non volevo credere ai miei occhi. Un anno e mezzo e tutto era rimasto come natura aveva distrutto. Una vergogna. Un tabellone di legno era appoggiato di fronte al bar.

Scritto in dialetto riportava “Do ncesse la vista lo scossone – mo ce pensa lu fio de Maceone”.
Accanto all’alimentari una bottega artigiana. Chiusa ovviamente. Con la vecchia insegna a penzoloni. Di fronte, nello slargo, un furgoncino con i prodotti tipici “sapori umbri”.

La piazzetta era sempre stata il punto di riferimento per il ristoro dei turisti a Castelluccio. Era sempre stata un via vai di gente con panini in mano o con buste piene di lenticchie e salumeria norcina. Adesso c’era solo polvere.

  • Castelluccio - piazzetta

  • Castelluccio - piazzetta

Di fronte allo slargo c’era l’accesso per il vero nucleo abitato di Castelluccio. Era chiuso. Sbarrato. Il casottino accanto allo sbarramento riportava altre scritte, pitturate nel muro, in dialetto che non sono riuscito a decifrare.

Ci recammo oltre la piazza e decidemmo con Roberto di far alzare i nostri droni. Nel volo la nebbia era bellissima. Nascondeva a tratti il paese e la natura che lo circondava. Girammo intorno alle vecchie case.

Quando la vista si fece limpida rivelò la tragicità di quello che era successo.
Anche Castelluccio era completamente distrutto.

Castelluccio - il paese distrutto

  • Castelluccio

  • Roberto in cerca di inquadrature

Macerie, mattoni, polvere e tegole. Poche case erano rimaste in piedi. Centinaia di anni in fumo.

Con tristezza atterrammo e tornammo alle macchine fotografiche. Roberto di nuovo in preda alla frenesia se ne andò per i fatti suoi a cercare le sue inquadrature mentre io e Maurizio prendemmo una strada per i campi opposti al paese. Arrivammo ad un ostello con bar per il solito caffè. Ce ne volevano due a testa dopo la levataccia. Incredibilmente era aperto ed aveva anche dei turisti amanti del trekking.

Con la caffeina in corpo riprendemmo il cammino per i campi in cerca di inquadrature per altri scatti. La piana era ancora invasa dalla nebbia. Ci concentrammo verso Castelluccio che, in lontananza e a tratti, appariva tra i vapori di acqua fredda che si stavano alzando e diradando. Parevano batuffoli di cotone messi a protezione delle poche cose, rimaste intatte, del paese.

Rientrammo alla base. Nella piazzetta il furgoncino dei “sapori umbri” era aperto. Eravamo svegli da sette ore e la porchetta fu la nostra miglior colazione.
Ci restò difficile non socializzare e come spesso accadeva ci mettemmo, anche in quell’occasione, a parlare con il gestore del ristoro ambulante.
Ci raccontò le ultime vicissitudini della zona, come un “rewind” ascoltammo, più o meno, gli stessi discorsi che un anno prima avevamo registrato a Visso. Burocrazia, politica, attese, demoralizzazione e impotenza.

  • Castelluccio

  • La scritta nel muro

  • Castelluccio

Finimmo il nostro panino e anche la nostra chiacchierata.
Rimontammo in macchina. La nebbia era quasi completamente sparita. La piana si era rivelata ai nostri occhi in tutta la sua magnificenza.

Scendemmo da Castelluccio e ci fermammo in svariati posti per i nostri scatti.

Eravamo gli unici in quella vastità.

Mi venne in mente Salvatore Quasimodo “Ognuno sta solo sul cuore della terra trafitto da un raggio di sole” e la solitudine e la piccolezza dell'uomo di fronte alla Natura.

Vedemmo il profilo dell’Italia disegnato con gli alberi nel fianco delle colline.
Purtroppo, era ancora presto per lo spettacolo iridato della fioritura che sarebbe iniziata nel mese successivo. Non restammo, comunque, a bocca asciutta. Tutto il resto riuscì ad accontentare i nostri desideri di fotografi.

Era giunto il momento di ripartire. Di andare a Norcia. Ero ansioso di vedere come stava.

Arrivammo verso le undici. Era domenica e in centro trovammo molta gente. Nella piazza principale un’impalcatura si ergeva come fosse un’opera di arte moderna. Era la protezione e il sostegno della facciata della Basilica di San Benedetto che tra il 24 agosto e il 27 ottobre fu cancellata dal crollo del campanile che la sovrastava. Fu eretta nel 1200 sopra la casa natale del Santo.

I negozietti di norcineria erano tutti aperti e alcuni turisti girellavano in cerca del salume migliore.

L'attenzione cadde su un negozio che si era trasferito. Probabilmente a casusa dell'inagibilità del palazzo. Un prosciutto di cinghiale era rimasto appeso all'esterno per incuriosire i passanti.

La condizione di Norcia era accettabile. Molti monumenti, campanili o palazzi erano stati messi in sicurezza e le macerie erano state rimosse.

La Basilica di Norcia

  • Norcia

  • La Norcineria trasferita

  • Protezione e contenimento

  • Turisti a Norcia

Mi venne in mente Visso. Ripensavo. Ero curioso di conoscerne la situazione. Mi consultai con i “ragazzi” e decidemmo di farci una breve tappa.
Passammo davanti a Cappa dove la chiesa di fronte era ancora come l’avevamo lasciata. Proseguimmo ed arrivammo in centro.
La zona rossa era stata tolta. Erano transennate soltanto le strade dove era pericoloso addentrarsi per crolli di cornicioni o di intonaco. Era comunque ancora messa male.

Convenimmo all’unisono che era il momento di pranzare e ci mettemmo in cerca di un ristoro.

Seguimmo il profumo di funghi e tartufo e ci sedemmo da “Km Zero” dove non ci facemmo mancare il classico tagliere di salumi che ben sanno fare da quelle parti.

Km Zero

Proseguimmo con un tripudio di tagliatelle accompagnate dalla birra artigianale che producevano con maestria. Intanto, il nobile tubero emanava il suo odore inconfondibile inebriando il nostro appetito e stuzzicando le papille gustative.

Roberto e le tagliatelle

Ci tornarono in mente i momenti più belli della giornata. L'alba, il mare di nebbia. Ed anche quelli più tristi.

Terminammo il pranzo tra risa e sfottò tra di noi. Era l'usanza goliardica che ci contraddistingueva. 

Montammo in auto e tornammo a casa.

Sopra la Piana di Castelluccio

il video della giornata

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